
26 Apr Viaggio attraverso la storia del Lago d’Aral
Il Mare di Isole
Ciò che noi conosciamo come Lago o Mar d’Aral nelle lingue centroasiatiche è Aral Denghiz/ Арал теңізі (Aral teñızı)/ Orol tengizi.
Tеңіз, come il turco deniz, vuol dire mare. Mentre la parola Aral, di origine mongolica, significa isola.
Questo grande lago di acqua salata veniva chiamato così a causa delle numerose isole presenti sulla sua costa orientale.
Quella del lago d’Aral e dei villaggi rivieraschi che vi si affacciavano è una triste storia. Le brulle pianure che lo circondano – o meglio circondavano – appartengono ad una regione autonoma dell’Uzbekistan, la Repubblica Autonoma di Karakalpak. Un territorio che occupa una buona parte dell’Uzbekistan, ma in gran parte desertico. Pur essendo una regione grande come mezza Italia è abitata da meno di due milioni di abitanti di cui un quarto è di etnia caracalpachi, un popolo etnicamente affine ai kazaki, e il resto composto da uzbeki, kazaki e turkmeni. Nukus è il capoluogo di questa Repubblica. Qui il clima è una sfida continua con inverni gelati ed estati martellate da un sole spietato. L’Aral era un vero e proprio mare interno e la vita della regione gravitava intorno a questo bacino d’acqua.
In questo documentario della Kazakhfilm si può vedere non solo come appariva il lago nel 1963, ma anche l’industria fiorente della pesca e del sale, e la fauna rigogliosa che viveva sulle sue isole.
Purtroppo a partire dagli anni Ottanta è stato vittima di una catastrofe ecologica che lo ha praticamente prosciugato. In un bellissimo film del 1956 – il Quarantunesimo – ambientato durante la guerra civile in Russia, i due protagonisti, un ufficiale bianco e una formidabile tiratrice rossa, naufragano su una delle isole dell’Aral. Si possono vedere i due giovani che discutono sulle rive di quello che erra ancora un “mare”.
Ma già alla fine degli anni Ottanta versava in condizioni critiche. Nel film Iglà, interpretato dalla leggenda del rock russo Viktor Tsoj si vede una distesa arida e secca a perdita d’occhio.
La desolazione, non solo per l’Aral stesso ma anche per le popolazioni che vivevano sulle sue rive, è ancora più evidente in questo video dei Pink Floyd del 2014
Il mar d’Aral – insieme al mar Caspio e il mar Nero – è ciò che resta del mare Sarmatico, antico mare del Giurassico che si estendeva tra Europa centro-orientale e Asia occidentale. Due grandi fiumi dell’Asia centrale lo alimentavano l’Amu Darya e il Syr Darya. Curiosamente nella sua storia ha subito frequentemente significative variazioni di livello ed è scomparso e riapparso più volte. Nel 1417 fonti persiane ne documentavano la scomparsa per poi tornare gradualmente allo stato iniziale nel 1570. Resti di un mausoleo islamico della fine del XII sono emersi in una zona un tempo sommersa. Periodi di siccità si sono verificati più volte, probabilmente a causa di deviazioni naturali dell’Amu Darya. Ancora tra Ottocento e primi del Novecento, prima che iniziassero i lavori di deviazione dei suoi emissari, il livello delle acque oscillò significativamente.
Le popolazioni dell’Asia centrale erano abituate a vivere in un clima arido e col tempo avevano imparato a sfruttare le acque dell’Amu Darya costruendo canali di irrigazione in grado di alimentare i campi coltivati e portare acqua pulita a centinaia di migliaia di abitanti. Proprio grazie a questi canali città oasi come Merv, Khiva, Bukhara e Samarcanda fiorirono nel deserto.
L’arrivo dell’impero russo e l’industria del cotone
Le prime spedizioni dell’impero zarista in Asia centrale risalgono a Pietro il Grande che nel 1714 inviò una spedizione a Khiva, ma non fu molto fortunata visto che il principe Aleksandr Bekovich-Cherkasskij a capo della spedizione finì con la testa mozzata. Tuttavia per tutto il XVIII secolo l’espansione in Asia centrale lentamente continuò. Nel 1848 l’ammiraglio russo Aleksej Ivanovič Butakov esplora l’intero bacino del Mar d’Aral. A questa spedizione partecipò anche il poeta e pittore ucraino Taras Ševčenko che ci ha lasciato meravigliosi disegni dal lago d’Aral.
In questa regione confluirono gli interessi dell’Impero russo e di quello britannico dando vita al conflitto che viene chiamato il ”Grande gioco”. L’Asia centrale venne conquistata e annessa nel 1867 con il nome di Turkenstan. Lo straordinario pittore russo Vasilij Vereščagin ha ritratto le guerre in Asia centrale con vividezza. Nelle sue bellissime tele troviamo la sua denuncia sull’assurdità della guerra e il desiderio di far conoscere le popolazioni di questa regione poco conosciuta.
A causa della guerra civile americana l’impero russo non aveva più potuto acquistare cotone dagli Stati Uniti e iniziò a guardare proprio alle province dell’Asia centrale appena conquistate per diventare autosufficiente, in particolare a Kokand e Bukhara. Nella regione il cotone si coltivava già da duemila anni, ma solo su piccola scala. Grazie a una politica di incentivi e sgravi fiscali il governo zarista riuscì a convincere i contadini asiatici a coltivare cotone messicano da cui si ricavano tessuti migliori e più resistenti. La coltivazione del cotone iniziò a rimpiazzare tutte le altre colture di grano, frutta e verdure che avevano reso per secoli i centroasiatici indipendenti dal punto di vista alimentare. Con l’arrivo dei bolscevichi la situazione peggiorò ulteriormente. Piantagioni di fichi e cocomeri, campi di frumento, giardini fioriti, una fiorente industria della pesca vennero distrutti per far posto a campi di cotone a perdita d’occhio. L’Unione Sovietica era decisa a diventare una delle maggiori esportatrici di cotone.
Se volete approfondire l’aspetto storico-politico e legislativo leggete questo interessante articolo.
Per far questo iniziò a deviare i corsi d’acqua del Amu Darya e del Syr Darya costruendo canali sbrigativi che avrebbero dovuto alimentare i vasti campi di cotone ma che costituivano un enorme spreco di acqua. Non essendo più alimentato dai due fiumi e non essendo sufficienti le piogge ad alimentarlo il lago cominciò a ritirarsi sempre di più. Man mano che si prosciugava aumentava la sua salinità uccidendo flora e fauna. Nello stesso tempo l’acqua dei canali che inondava le piantagioni penetrando nel terreno lo rovinava portando in superficie i banchi di sale sotto la terra brulla del deserto e rendendo l’aria malsana. A cui si aggiungevano le grandi quantità di pesticidi che si dovevano utilizzare per fertilizzare quel suolo arido. Il resto della triste storia di questa regione è fatto di corruzione, esperimenti, antrace e malattie.
Moynaq
Moynaq è uno degli esempi più vividi e struggenti della tragedia dell’Aral. Il cartello di benvenuto con il suo pesce felice sta ancora lì. Fino agli anni Settanta era una città viva, fatta di spiagge, risacca e pescherecci indaffarati. Qui non c’era ombra di disoccupazione tra industria del cotone, scavi, estrazione del sale e pesca. Inoltre era un’importante stazione balneare. Oggi è una città semi abbandonata e fatiscente e quel poco di turismo che è rimasto vive degli scafi arrugginiti delle barche tirate in secco per sempre. Il lago, sulle cui rive prima sorgeva, ora dista 200 km.
Viaggiare da queste parti significa rendersi conto di che cosa significa e cosa non deve significare… Non è il servizio fotografico da un “luogo dello sfascio”, non è l’esperienza “esotica”! Viaggiare qui significa rendersi conto di cosa è un disastro ecologico e di cosa ha significato per quelle popolazioni. E’ l’opportunità di rendersi conto di cosa dobbiamo fare per evitare che il nostro mondo si disintegri sotto i nostri occhi. Un momento di riflessione e di profondo rispetto per popoli e natura.
Vi lascio con un estratto del libro di Tino Mantarro, Nostalgistan in cui ci racconta proprio di Moynaq e del Lago d’Aral.