
13 Giu IL MIO PRIMO VIAGGIO IN ANTARTIDE
Fine Febbraio 1994. Sono a Ushuaia, la città più a sud del mondo, nella Terra del Fuoco argentina.
Ho fatto Torino-Ushuaia tutto d’un fiato, via Roma e Buenos Aires. Quasi 20 ore di aereo per attraversare il mondo, ed arrivare in fondo al Sud America.
A Ushuaia sono già stato diverse volte, ma questa volta è speciale. Questa volta non mi accontenterò di quel cartello nel Parco Nazionale che dice “fine della strada numero 3”, quella che arriva da Buenos Aires, come dire “oltre questo punto non c’è più nulla”.
Questa volta si va più lontano, verso l’infinito.
Domani mi imbarco sulla AKADEMIK IOFFE per andare in ANTARTIDE!
L’emozione è forte, l’aspettativa enorme. Sono da qualche anno un tour operator specializzato per il “Sud del Sudamerica”, ed ho ottenuto da una società di crociere antartiche canadese un prezzo molto basso per provare di persona questo viaggio mitico.
Il mattino dopo mi aggiro per il porto ed ammiro la “mia” nave, che già chiamo confidenzialmente “la IOFFE”, arrivata poche ore prima dal viaggio precedente. Non è molto grande (117 metri di lunghezza, 6.450 tonnellate di stazza), ma ha un’aria solida e potente. Mi ispira sicurezza.
Nel pomeriggio finalmente ci salgo, e mi assegnano la mia cabina, che dividerò con David, un occhialuto statunitense, simpatico e informale, come tutti coloro che vanno in Antartide.
Briefing con l’equipaggio, il capitano ed il capo spedizione, Thomas. Cena a bordo e finalmente si salpa lungo il Canale di Murray, verso Capo Horn…
Il Passaggio di Drake, un canale oceanico che separa il Sud America dall’Antartide, ovvero l’Oceano Atlantico dal cosiddetto Oceano Antartico (definizione moderna del settore più a sud dei 3 oceani), lungo circa 900 km, spaventa un po’ tutti coloro che – per la prima volta – si apprestano a navigare verso l’Antartide.
Quando il secondo giorno e primo mattino della mia (prima) crociera mi svegliai nella mia cabina, dopo avere realizzato dove mi trovavo, cioè sulla Akademik Ioffe in mare aperto, pensai subito che qualche cosa non quadrava. Dov’erano la furia dei 60 ruggenti, la tempesta perenne, il terribile vento dell’estremo sud? La nave viaggiava tranquilla e sicura, e non avvertivo più vibrazioni e scuotimenti di quelli di un autobus in autostrada.
Guardai fuori dall’oblò, ma non vidi altro che un mare tranquillo e l’orizzonte fermo. Mi vestii rapidamente e scesi per la colazione. Tutti erano tranquilli e chiacchieravano animatamente. Fu così per le 24 ore successive.
La giornata passò piacevolmente, fraternizzando con i compagni di viaggio e con i componenti dell’equipaggio, capitano compreso.
Sulle navi da crociera antartiche l’accesso è libero a tutte le parti della nave, ed il personale è sempre disponibile a chiacchierare, raccontare e rispondere a tutte le domande più assurde: quando arriviamo o che tempo avremo (queste sono ragionevoli), qual è stata la tua navigazione più brutta, da quanti anni sei su questa nave, siamo al sicuro, a che temperatura arriveremo, etc. etc.
E fra l’equipaggio, notai subito una biondina molto carina. Poi ci furono le brevi esercitazioni di sicurezza e la visita della nave, che incluse la poderosa sala macchine e il ponte di comando.
La sera, dopo una buona cena, eravamo ancora in oceano aperto; mare sempre calmo. Scoprii che la biondina si chiamava Therese, era canadese, ed era la hotel manager dell’operatore, ovvero la persona che gestiva la sistemazione e organizzazione dei passeggeri a bordo. Era appassionata di musica, come me. Per cui da quel giorno – esauriti i convenevoli – passammo tutte le serate a bordo a cantare, insieme con Boris, uno dei marinai russi della Ioffe che aveva una tastiera elettronica, e pure una chitarra, che gentilmente mi prestò.
(continua…)