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Andate sott’acqua finché potete

Ricordo quando da bambino, a otto, dieci anni, passavo le ore nel negozio di subacquea del mio paesello in Liguria, guardando sognante (e naturalmente toccando e titillando) il successivo pezzo di attrezzatura che mi sarei fatto regalare per la promozione.

Mi piaceva l’odore di quel posto. Quello della gomma delle mute e delle pinne. Le maschere Pinocchio. C’era tutta la sacralità del mio rapporto con il mare.

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Guardavo i fucili appesi e fantasticavo dei giganteschi dentici che avrei preso – ehhhh sì, parliamo di fine anni ’70, e la subacquea era in larga parte pesca – quando, al compimento dei quattordici anni, avrei potuto finalmente ottenere l’agognato fucile e abbandonare la fiocina.

M’immaginavo carnieri infiniti, perché il mare, in quegli anni e ancora almeno fino agli anni ’90, era ricco. Sul finire dell’estate la secca davanti al paese si riempiva di ricciole e palamite che negli anni seguenti sarei andato ad insidiare all’aspetto con lunghi arbalete. Mio padre, se il mare era calmo, al mattino era solito fare una passeggiata sulla battigia ciottolosa; inevitabilmente se ne tornava con qualche polpo, preso con le mani. A casa mia polpo e patate in effetti non mancava mai.

Ricordo anche, qualche anno dopo, immersioni sulle secche al largo e l’incontro emozionante con la verdesca. A un miglio dalla costa.

Oggi il litorale è stato trasformato. I sassi non piacciono ai turisti e sono stati sostituiti da sabbia ottenuta deturpando la vista dell’orizzonte con moli insensati. Poi, le barche da diporto richiedono porticcioli, con dighe frangiflutti.

I polpi sono praticamente scomparsi. Le ricciole pure. Spazzate via dalle reti di circuizione, che catturano l’intero banco di pesce. Non parliamo dei tonni. Ho amici che si dilettano di traina sportiva: a pescare non ci vanno manco più, perché non c’è quasi più niente. La vasta secca di fronte al mio paesello è ricoperta di reti e lenze di palamiti.

Mi sono ritrovato a fare la seguente riflessione: in una generazione noi Sapiens abbiamo svuotato gli oceani.

Il Mediterraneo, fatta eccezione per le riserve marine (che quanto a ricchezza di fauna e flora subacquea sono un frammento di mare del passato impiantato nel presente) e qualche zona difesa coi denti dai diving center, è stato reso un ammasso d’acqua semidesertico. Ed è bastata una generazione. Una generazione! Perché quella di mio figlio, che ha sedici anni, non vedrà che una minima parte di ciò che ho visto io. La successiva, faccio una facile previsione, ancora meno.

Che cosa abbiamo fatto al mare? Abbiamo costruito lungo le coste, città e industrie, pescato ottusamente ignorando le grida di dolore dei biologi marini, inquinato con ogni mezzo possibile. Ovunque.

La temperatura media della superficie terrestre è salita di quasi un grado Celsius rispetto all’epoca preindustriale e il livello globale del mare è salito di circa 20 centimetri nell’ultimo secolo: si sciolgono ghiacci e calotte polari. Gli oceani sono pieni di plastica, persino al Polo Sud e al Polo Nord. I grandi predatori stanno scomparendo. La popolazione dei merluzzi atlantici è stata devastata – guardate il grafico seguente (dati FAO).

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Le popolazioni dei grandi squali idem: precipitano a ritmi esponenziali. Nell’ultimo mezzo secolo la quantità di grandi squali è diminuita di percentuali che variano dal 70% al 90% e più, sono dati incontrovertibili: https://www.nature.com/articles/s42003-018-0233-1.

Cioè: gli squali, così eleganti e maestosi, stanno letteralmente scomparendo dagli oceani.

Semplicemente, tra qualche anno, non li vedremo più. E lo stesso sta capitando al tonno, al pesce spada e ad altri predatori apicali degli oceani.

Che cosa possiamo fare?

Oltre a impegnarci individualmente per sensibilizzare le persone e proteggere l’ambiente in prima persona, a volte con rabbia se necessario, noi subacquei possiamo fare solo una cosa:

andare sott’acqua, viaggiare, affrettarci a vedere ciò che ancora si può vedere,

perché “di doman non c’è certezza”.

Tanto blu a tutti.

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